Dislessia e inglese

La dislessia e l’apprendimento della lingua inglese

La dislessia è ormai un problema che è ampiamente studiato e riconosciuto da tutta la comunità scientifica internazionale.

La International Dyslexia Association (2002) è giunta ad una definizione che accoglie i risultati delle ricerche più autorevoli e perciò rappresenta ad oggi uno dei più importanti punti di riferimento per una descrizione della dislessia quanto più condivisa:

La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento di origine neurologica. E’ contraddistinta da difficoltà di riconoscimento di parole a livello di accuratezza e/o fluenza, e da scarse abilità di spelling e decodifica. Queste difficoltà sono tipicamente il risultato di un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che spesso risulta inaspettato in relazione alle altre abilità cognitive e alla qualità dell’istruzione scolastica. Tra le conseguenze secondarie si possono riscontrare problemi nella comprensione scritta e un contatto ridotto con i testi scritti che impediscono l’espansione del bagaglio lessicale e delle conoscenze sul mondo.

Il quadro normativo italiano, che include la L. 170/2010 sui disturbi specifici di apprendimento (DSA), con le relative Linee guida, e le indicazioni del MIUR in riferimento ai BES, Bisogni Educativi Speciali, fornisce un quadro completo che, oltre a delineare le caratteristiche del disturbo e il suo riconoscimento, offre indicazioni sulla didattica e gli strumenti operativi da utilizzare nella prassi psicopedagogica nei diversi ordini e gradi di scuola.

In questo contesto, un tema di grande attualità e rilevanza, in quanto costituisce uno degli elementi di criticità nel percorso educativo di studenti con dislessia, è rappresentato dall’apprendimento della lingua straniera. I recenti sviluppi della normativa evidenziano l’importanza di adottare misure di facilitazione e di supporto per gli studenti dislessici anche nell’apprendimento della seconda lingua a scuola, in particolare dell’inglese.

Al fine di comprendere in che cosa consistano le difficoltà incontrate da questi studenti occorre, in primo luogo, delineare le differenze cross-linguistiche esistenti fra l’italiano e l’inglese, differenze che sono basate su sistemi di scrittura e ortografie molto diversi. Infatti, ciascuna lingua è caratterizzata da una propria specificità fonologica, con elementi di variabilità riconducibili alle aree della fonologia e dell’ortografia che presentano un potenziale impatto nell’apprendimento della lettura e della scrittura.

E’ pertanto plausibile supporre che in inglese, che è una lingua molto complessa, a ortografia non trasparente e con fonologia irregolare, le difficoltà vengano esacerbate per i soggetti italiani con dislessia, che già presentano problematiche di apprendimento della lettura nella lingua madre e sono caratterizzati da profili di abilità e consapevolezza fonologica compromessi.
Nel dibattito psicopedagogico odierno spesso prevale una posizione di sospetto verso l’opportunità e la possibilità che un allievo dislessico impari una lingua straniera. Si tratta di posizioni spesso semplicistiche e peraltro non supportate dalla ricerca glottodidattica internazionale, la quale sostiene che non esiste un disturbo specifico dell’apprendimento di una lingua straniera: in realtà accade che l’interazione tra fattori riguardanti l’allievo, la lingua e l’insegnante influisca sia sul processo di apprendimento sia sul livello di competenza raggiunto.
Alcuni di questi fattori rappresentano ‘barriere’ linguistiche, ossia ostacoli che vanno affrontati, rimossi o aggirati per garantire il procedere del percorso di apprendimento.
Le più recenti e accreditate ricerche nazionali e internazionali in questo campo supportano la posizione che, grazie a specifiche misure metodologiche, anche gli allievi dislessici possono raggiungere un buon livello di competenza nella seconda lingua.

L’apprendimento delle lingue straniere costituisce per gli studenti con dislessia o con BES un diritto educativo che può sortire effetti positivi, sia a livello personale (crescita dell’autostima) che strumentale, in quanto la conoscenza delle lingue straniere costituisce oggi un elemento imprescindibile per la qualificazione e il miglioramento del profilo professionale.
In una prospettiva pienamente europea non ci si deve, quindi, porre il problema se sia opportuno insegnare le lingue straniere, e in primo luogo l’inglese, ad un allievo dislessico, ma, affermando il principio dell’inclusione e delle pari opportunità formative, sul come promuovere l’apprendimento tenendo presenti le specificità della dislessia e individuando gli strumenti e le misure migliori.